Il Modello delle “Intelligenze Relazionali” per il management – capacità sistemiche e generative

Riproponiamo parte dell’articolo pubblicato sulla rivista “L’Impresa” del Sole 24 Ore di maggio 2017 a firma congiunta Marinella De Simone e Dario Simoncini

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(prima parte)

Le 4 intelligenze relazionali: capacità sistemiche e generative

La capacità di relazionarci nel mondo è la più importante e potente forma di intelligenza che abbiamo a disposizione: essere intelligenti vuol dire saper leggere tra le persone, tra gli eventi e tra le cose con lo scopo di comprendere il contesto e le sue adiacenze, formare, raccogliere ed elaborare idee ed informazioni riguardo a qualcuno ed a qualcosa in relazione.

Da qui prende forma il concetto di intelligenze relazionali per il management, come capacità complesse di scoprire relazioni ed interconnessioni tra i vari aspetti della realtà organizzativa per giungere ad una sua comprensione, la più ampia e la più completa possibile, per generarne un senso condiviso ed un diffuso comportamento ad esso coerente.

C’è una forte pressione al cambiamento organizzativo e questo rende necessario che il management sia in grado di attivare con efficacia queste capacità relazionali per prendere delle buone decisioni assumendosi al contempo la piena responsabilità del proprio comportamento, indipendentemente dai risultati che ne possano conseguire di volta in volta, sia nello spazio che nel tempo.

Secondo un punto di vista complesso della realtà, il principio dell’ecologia dell’azione ci insegna che non siamo in grado di prevedere con precisione le relazioni tra ciò che stiamo facendo – o non facendo – adesso e ciò che questo determinerà tra un giorno, un mese o un anno. C’è, però, una regola a cui attenersi che può rendere più efficace il percorso di creazione di una community partecipata, responsabile e impegnata in un processo di trasformazione organizzativa: predisporre la narrazione del cambiamento non in riferimento ai singoli individui separati l’uno dall’altro ma quale specchio delle relazioni tra le loro biografie esperenziali e le dinamiche dei loro reciproci rapporti.

Solo in tal modo si può comprendere come l’intreccio tra le azioni organizzative sia l’effettiva sorgente con la quale confrontarsi ed interagire per generare i comportamenti collettivi desiderati. In questo nuovo scenario organizzativo, dunque, non sono le persone che fanno la differenza ma la trama delle loro relazioni.

Ed è questa la sfida che attende chi desidera reinventare l’organizzazione: scoprire e analizzare i disegni innovativi emergenti dalle trame relazionali e creare quelle condizioni d’impresa, interne ed esterne ad essa, che ne abilitino pienamente il potenziale con lo scopo di rendere l’organizzazione sostenibile e resiliente ai grandi cambiamenti di questo secolo.

Non esiste una ricetta né un catalogo dei principi da mettere in pratica per “essere un management intelligente”. Nelle relazioni, infatti, non esiste un modo di agire più intelligente di un altro; esiste, invece, un modo di agire più coerente di un altro nell’attivare le intelligenze relazionali a seconda della situazione e del contesto.

Tradizionalmente, il successo e l’impatto del comportamento manageriale sulle performance sono stati statisticamente correlati ad una gerarchia delle competenze fondata sulle differenze tra quozienti individuali di intelligenza logica, riflessiva ed a volte emotiva. Oggi, diversamente, tendono sempre più a dipendere dalla effettiva capacità del management di attivare in modo coerente le proprie intelligenze relazionali a seconda della situazione in cui ci si trova ad agire; in altri termini, di attivare con plasticità quelle capacità personali, verbali e senso motorie, che di volta in volta si rivelano necessarie nel governo della dinamica interattiva, circolare e generativa dei rapporti con gli altri.

L’intelligenza non è un valore assoluto, un quoziente che etichetta una persona nel bene o nel male ma un’attitudine relativa al contesto; una persona con un elevato quoziente d’intelligenza potrebbe dimostrarsi assolutamente incapace di gestire situazioni incerte e fortemente dinamiche che non collimino con le sue competenze logico riflessive od emotive.

Dunque, non si tratta di mettere in campo solo delle adeguate competenze tecniche, siano esse hard o soft, ma di attivare delle capacità modali coerenti con il contesto ed attraverso le quali le competenze stesse possano assumere una forma efficace ed arricchirsi di significato durante lo svolgimento delle proprie relazioni organizzative. Provate ad immaginare la varietà di atteggiamenti che potrebbero emergere durante una giornata di lavoro di un manager che si trovi ad agire contemporaneamente con tre prospettive assai diverse tra loro, come ad esempio quelle del rapporti con i pari, con i superiori e con i collaboratori!

Un approccio relazionale all’intelligenza manageriale richiede il definitivo superamento di una convinzione assai diffusa e fortemente limitante: quella che una persona sia preferibile ad un’altra in relazione al suo più elevato quoziente di intelligenza logico-riflessiva e/o emotiva. Il secolo trascorso è stato dominato da un approccio psicometrico all’intelligenza che ha posto in primo piano il concetto di “meritocrazia dell’intelligenza” ed ha indirizzato le proprie elaborazioni alla ricerca di un valore assoluto dell’intelligenza che consentisse di valutare le differenze tra gli individui e sulla base di questa valutazione potesse consentire la definizione oggettiva di scale sociali del potere e con esse dei domini contrapposti di privilegi e doveri. Egualmente dicasi per la proliferazione di elaborazioni statistiche volte a verificare la correlazione tra quozienti di intelligenza personale e miglioramento delle performance aziendali. Ne sono conseguite categorizzazioni sociali e catene di comando che si sono auto-rinforzate grazie ad una progressiva separazione tra due grandi poli di attrazione che hanno generato dei veri e propri silos operativi: il primo composto da coloro i quali pensano (i thinkers, quelli più intelligenti?) ed il secondo formato da coloro i quali eseguono (i makers, quelli meno intelligenti?).

Lo sviluppo di forme organizzative digitali, aperte, conversazionali, strutturate in reti di team collaborativi ed alla pari richiede nuovi modelli di management che pongano al centro dell’azione il circuito di relazioni tra le persone. La dinamica delle relazioni è sempre più complessa, a volte persino misteriosa od incomprensibile; contemporaneamente è sempre più forte la domanda di una democratizzazione dei processi decisionali e con essa la necessità per le organizzazioni di creare nuovi stili d’azione.

Nelle attuali pratiche di management il livello delle relazioni personali e quello delle relazioni con l’ambiente sono sempre più stressati dalla necessità di affrontare con efficacia gli imprevisti e di predire il futuro nel modo più attendibile. Non solo: i processi organizzativi mutano rapidamente le proprie forme lasciando sempre più spazio a dinamiche auto-organizzative team based.

E’ così sempre più difficile disegnare una visione possibile verso la quale puntare le proprie azioni ed il più delle volte risulta persino vano tentare di anticipare gli eventi in un tempo a noi più prossimo. In questo scenario è decisivo per il management comprendere quali sia il nuovo sistema di capacità da sviluppare per acquisire maggiore consapevolezza delle relazioni sistemiche all’interno delle quali è inserita l’organizzazione e le sue persone in modo tale da condurre con soddisfazione i propri rapporti di lavoro e anticipare al meglio gli effetti delle proprie azioni, sia nel tempo che nello spazio.

Le intelligenze relazionali non possono essere conosciute a priori; emergono di volta in volta in virtù del dispiegarsi del circuito dell’io con l’altro, dell’io con il gruppo, dell’io con il contesto. L’efficacia della loro manifestazione dipenderà dalla capacità di ognuna delle parti nel saper condurre delle azioni che soddisfino i bisogni e facilitino il perseguimento delle finalità tra loro in relazione.

Se desidero sostenere ed aiutare un’altra persona mi dovrò chiedere: sono in grado di vedere, ascoltare, provare ed accompagnare i suoi stati d’animo e le sue necessità? E se desidero persuadere un’altra persona ad affiancarmi mi dovrò chiedere: sono in grado di manifestare il mio ruolo, di offrire credibilità e sicurezza rispetto alle sue aspettative? Oppure: in quella specifica situazione sono in grado di agire in modo coerente? Sono così attento e pronto da poter comprendere ciò che accade e come potrebbero evolvere le cose? Sono in grado di agire nel modo migliore e nel momento giusto? Ed ancora: sono in grado di valutare nel dettaglio e nel modo migliore possibile gli effetti che le mie azioni determineranno sulla situazione?

Serve un nuovo modello di intelligent management; ecco perché è urgente imparare ad attivare con efficacia le intelligenze relazionali e perché l’adozione di un approccio relazionale si riveli così impegnativo e radicale. Oggi è necessario che l’intelligenza manageriale si parametri a delle nuove metriche, non più individuali ma di tipo relazionale: qualitative, circolari, plurilivello e multidimensionali.

Un’adeguata e coerente comprensione e governance delle interazioni con gli altri, singoli e gruppi, assume un ruolo decisivo per svelare le trame relazionali nascoste dell’organizzazione e favorire la fioritura ed il pieno utilizzo di talenti sempre più frammentati nello spazio e nel tempo così come per garantire il coordinamento tra le reti dei sistemi che determinano l’orizzonte operativo del business aziendale.

Le intelligenze relazionali sono capacità di natura complessa che godono delle proprietà sistemiche dell’interdipendenza e dell’emergenza e che determinano l’azione della persona a due diversi livelli di impatto organizzativo: l’uno, che riguarda le dinamiche duali del “one to one” e del “one to many”; l’altro, che riguarda le dinamiche evolutive delle situazioni nel tempo e nello spazio. Ognuno dei due livelli è a sua volta formato da una coppia di intelligenze relazionali: due intelligenze per il livello interpersonale, quella sociale e quella emotiva, e due intelligenze per il livello eco-sistemico, quella percettiva e quella collettiva.

Pur non trattandosi di variabili indipendenti data la loro natura sistemica, è possibile descrivere i modelli di attivazione delle 4 intelligenze che si manifestano come la sorgente relazionale dell’azione organizzativa. Riconoscere i tratti caratterizzanti delle quattro forze relazionali ci consente di evidenziare la variabilità dell’una rispetto all’altra e di delineare gli schemi di pratiche ricorrenti che le possano raffigurare concomitanti seppur con differenti intensità.

(fine prima parte)


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