Perché dovremmo essere grati a B.

Perché dovremmo essere grati a B.

B. ha fatto da specchio a quello che già siamo ma che, come le tre scimmiette, non vogliamo né vedere, né sentire, né dire in prima persona. Lasciamo che siano altri ad esprimersi per noi; a noi basta lanciare un’occhiata ogni tanto per distoglierla subito dopo con un senso di ribrezzo.

B. ha reso manifesto – a noi come persone ed ancor più a noi come italiani – il nostro lato oscuro, quello peggiore di noi, e che a nessuno piace rendere pubblico. Lui ha reso questo lato oscuro evidente ad ognuno di noi, sia a chi lo osanna, sia a chi lo detesta.

Il livore e l’ammirazione per B. nascono dalla stessa fonte dentro di noi e, sia nell’uno che nell’altro caso, continuano ad alimentare gli opposti sentimenti. So bene che una simile asserzione non piace a nessuno: essere messi sullo stesso livello del ‘nemico’ è offensivo per entrambe le parti. Ma è proprio questo ciò che tanto bene ha funzionato in questi lunghissimi venti anni: il gioco delle parti.

Essere tra gli amici o tra i nemici, essere tra i buoni o tra i cattivi, essere di destra o di sinistra (per il senso che possono ancora avere per ognuno di noi): non importa quale sia la parte che si sceglie, purché il gioco continui… I nemici giustificano gli amici, i cattivi giustificano i buoni, gli evasori giustificano le tasse, le tasse giustificano gli evasori. E’ un gioco che lascia ognuno di noi allo stato infantile, in cui ci si schiera da una parte o dall’altra, aspettando che sia il gioco a decidere per noi ed a stabilire chi vince e chi perde. Nessuno si espone, nessuno si sente responsabile in prima persona. C’è sempre qualcun’altro o qualcos’altro che è responsabile per noi.

B. ha fatto solo da catalizzatore del pessimo gioco che ognuno di noi già svolge nel modo in cui è in relazione con il nostro Paese. Dalla (mancata) tutela del paesaggio alla (mancata) tutela della ‘cosa pubblica’, quanti di noi hanno lavorato in questi anni per tutelare i propri interessi personali a scapito del bene collettivo? Quanti di noi hanno continuato a parlare di diritti (i propri) che devono essere tutelati, dimenticandosi completamente dei doveri che competono a ciascuno di noi? Se continuiamo a puntare il dito contro il nostro ‘nemico’, continuiamo a non guardare dentro di noi.

Fino all’era di B. (il suo ‘avvento’ ha certamente segnato l’inizio di una nuova era) la politica italiana era qualcosa di noioso, che ci riguardava solo di sfuggita e saltuariamente: sempre gli stessi partiti, sempre gli stessi giochi; i “non-politici”, ovvero la maggior parte di noi, ha continuato placidamente a sonnecchiare. Ogni tanto una strage, qualche parola di circostanza, e tutto continuava per mondi separati. Un’idea di democrazia molto rassicurante per le nostre coscienze dormienti.

La rissa, la bagarre, la battuta od il gesto volgare, le parole dette a vanvera, la totale incoerenza tra ciò che viene detto e ciò che si fa e viceversa – in tutte le combinazioni possibili: tutto ciò è, stranamente per noi che corriamo dietro con il dito puntato su tante meschinerie, estremamente coerente. Solo che si tratta di una coerenza di livello diverso, assolutamente sistemica. B. ha disintegrato giorno per giorno, anno dopo anno, governo dopo governo – non importa se stando dentro o fuori dal governo stesso – la democrazia in cui noi, tutti noi, sognavamo di stare mentre dormivamo. Lo ha fatto con metodo e determinazione. Grazie a noi.

Perché dovremmo essere grati a B.? Perché, mostrando il lato peggiore che ognuno di noi ha nascosto in sé, ci obbliga ad aprire gli occhi, a sturare ben bene le orecchie, e ad aprire la bocca per parlare. Ci obbliga a riconoscere che “la politica”- che tanto ci disgusta – siamo noi: siamo noi a farla – anche non facendola e ritirandoci in disparte per criticare chi la fa.

Ho ritrovato una lettera che scrissi al Direttore di Repubblica circa venti anni fa, nel 1994. Ne riporto alcuni stralci:

E’ la prima volta nella mia vita che una elezione politica provoca in me una tale depressione. E’ come se rimpiangessi le elezioni precedenti, che certo non sono mai state esaltanti, ma che, con il loro squallore, erano almeno statiche: c’era in me almeno la certezza che peggio di così non potesse andare.

C’era stata, fino ad oggi, una sorta di schizofrenica separazione tra quanto avveniva in realtà e quanto invece si confessava apertamente. Si sapeva perfettamente delle tangenti, senza bisogno che vi fosse alcun processo pubblico, eppure si fingeva che fosse la capacità del singolo imprenditore ad essere premiata. Si sapeva perfettamente del legame tra mafia e democrazia cristiana, eppure si continuava a parlare di voto cattolico e di difesa della famiglia.

Una solida ipocrisia ha regnato nel nostro cuore – e nel nostro stomaco – per 40 anni. Era una sorta di vergogna che impediva di mostrarsi per ciò che realmente si era, lasciando così un seppur minimo spazio al diverso, alla morale, alla coscienza.

La sinistra ha avuto il ruolo di Grillo Parlante per Pinocchio, quasi un ruolo riequilibratore della propria ipocrisia quotidiana, sufficiente per sentirsi in pace con la propria coscienza: bastava lasciarla parlare ogni tanto, fingendo qualche volta di ascoltarla.

E’ triste arrivare a rimpiangere tutto questo. Non so cosa accadrà nei prossimi mesi (anni?). Potrei, forse, con una forte dose di ottimismo e tanta buona volontà, sperare in una ripresa economica che avvalori Berlusconi ed il suo governo. Ma quello che temo, e che mi fa tremare, è la perdita di qualsiasi vergogna che questi uomini hanno determinato. Non c’è più bisogno di ipocrisia. Vengono manifestati apertamente gli aspetti più deleteri di ciascuno, senza alcuna remora, sfrenatamente. Ed è proprio questo che attrae, come una calamita, la maggioranza di noi. La sfrontatezza, la potenza dei mezzi usati senza alcun limite, il promettere miracoli senza neanche provare a giustificarli, la totale mancanza di rispetto degli avversari, ha attratto gli uomini come fossero bambini al circo.

La stessa attrazione che si subisce davanti ad un giocatore che ha la sfacciataggine di barare apertamente e che obbliga gli altri giocatori ad attenersi alle regole.

(Marinella De Simone)

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