La materia delle parole – I relatori rispondono

Enrico Cerni - La sostanza delle parole

Vera Gheno ed Enrico Cerni rispondono alle domande dei partecipanti

Durante il web-meeting tenuto da Vera Gheno ed Enrico Cerni lo scorso 6 maggio 2020, dedicato a

La Materia delle Parole:

Sostanza per nuove Domande 

le domande dei partecipanti in chat sono state decisamente numerose, ed il coordinatore della serata non ha potuto sottoporle tutte ai relatori. Abbiamo così raccolto 12 domande per ciascun relatore, che gentilmente ci hanno fornito le loro risposte.

Grazie Vera, grazie Enrico!

D0mande per Vera Gheno

Vera Gheno
  1. Giuseppe M. chiede: Il silenzio come figura, dunque, e non esclusivamente come “sfondo” comunicativo?

V.G. risponde: Sì. Il silenzio non è uno sfondo, ma una precisa scelta comunicativa. Forse uno dei tipici fraintendimenti della comunicazione è di pensare il silenzio come il tessuto sul quale ricamare le parole.

  1. Annalisa B. (Brussels) chiede: quanto ci appartengono le “nostre” parole?

V.G. risponde: Le parole sono contemporaneamente proprietà di ognuno di noi e della collettività che le usa. Diciamo che se fossero solo nostre servirebbero a ben poco, dato che le impieghiamo prevalentemente per comunicare con gli altri. E non potremmo comunicare con gli altri se non ci fosse comprensione reciproca…

  1. Angela S. chiede: vorrei chiedere a Vera se posso umilmente prendere in prestito una delle sue definizioni che è ‘grammamante’, ovviamente con molta meno presunzione, per definire anche me stessa.

V.G. risponde: La parola deve volare libera. Questa posso anche averla inventata io (per quanto ne so), ma è di dominio pubblico: chiunque se ne può appropriare.

  1. Margherita D. C. F. chiede: mi affascina il tema del bilinguismo, mi piacerebbe approfondire che scelte fare per genitori di lingua madre diversa rispetto alla comunicazione con i loro figli/e neonati/e… magari qualche indicazione bibliografica

V.G. risponde: Mi viene in mente questo: https://www.amazon.it/Crescere-bilinguismo-Aspetti-cognitivi-linguistici/dp/8843054260/

  1. Luigi D. S. chiede: Cosa pensate dell’otium linguistico? (per entrambi)

V.G. risponde: Mi pare una cosa abbastanza naturale. Dice Luca Serianni: “[…] Ogni parlante madrelingua parla nelle varie situazioni quotidiane con assoluta naturalezza, come quando respira o deglutisce, senza porsi il problema del “come si dice”. […] Ma non parliamo sempre in condizioni di spontaneità: possiamo trovarci a sostenere le nostre ragioni in un contesto formale e tendenzialmente ostile (un esame, un colloquio di lavoro, un interrogatorio di polizia).”; che in molte situazioni non si faccia troppo caso a come ci si esprima, mi pare dunque naturale. A meno che uno non abbia un “nerbo linguistico” di base molto esercitato, mi pare normale anche ricadere a tratti nell’otium.

  1. Silvia C. chiede: Le conversazioni con gli sguardi sopra le mascherine, materializzano parole, domande, risposte, dubbi?

V.G. risponde: Sicuramente, la mascherina rende la comunicazione più complessa. Tutti quanti, coscientemente o meno, ci affidiamo molto al labiale per comprendere ciò che ci viene detto.

  1. Marco A. chiede: qualcuno ha da suggerire un bel libro sul silenzio? (Per entrambi)

V.G. risponde: Non mi viene in mente nulla. Ma ne sto scrivendo uno io 😊

  1. Moreno R. chiede: le parole delle fake news sono sull’orlo del caos?

V.G. risponde: Boh, le fake news sono sempre esistite. Non hanno parole specifiche, quanto piuttosto vivono di combinazioni di parole, come del resto tutte le news. Più che riflettere sulle parole delle fake news, rifletterei su come le decodifichiamo noi fruitori delle (fake) news.

  1. Fatima C. chiede: non sarebbe più opportuno parlare di “distanziamento fisico” invece che “sociale”? (Per entrambi)

V.G. risponde: A dire il vero, “distanziamento sociale” implica una serie di misure che vanno oltre la distanza fisica interpersonale. Ma sono d’accordo con te che è un termine che si presta a brutte interpretazioni. Cfr. questa discussione https://twitter.com/davcr/status/1244959078574632963 e queste considerazioni http://blog.terminologiaetc.it/2020/04/07/differenza-distanza-sociale-fisica-interpersonale/.

  1. Mara M. chiede: per la prima volta la parola non ha la bocca (mascherina); questo non vi interroga? (Per entrambi)

V.G. risponde: Non è la prima volta: in fondo, anche online noi ci confrontiamo con parole “private” della bocca. Questo aumenta di sicuro il bisogno di chiarezza!

  1. Margherita D. C. F. chiede: vedo che utilizza: “ l’uomo” per indicare l’umanità o gli uomini e le donne; mi sembra che abbia scelto l’utilizzo dell’universale neutro che, secondo alcuni/e studiose/i rende invisibile la pluralità dei soggetti. Come mai?

V.G. risponde: Da una parte, sono automatismi personali. Dall’altra, trovo che “essere umano” non risolva del tutto la questione, dato che rimane un termine di genere grammaticale maschile. Va meglio nelle lingue in cui si può ricorrere a un vero termine neutro, magari perché non esiste proprio il genere grammaticale. Comunque, non sono una vera e propria esperta di studi di genere, per cui se non mi ci soffermo a pensare, non sempre mi ricordo di “dribblare” il maschile sovraesteso.

  1. Giuliana S. chiede: nella traduzione dall’ungherese l’italiano è sufficientemente ricco? Grazie

V.G. risponde: Tutte le lingue di cultura sono sufficientemente ricche… a volte succede che non esista un termine corrispondente, ma c’è sempre una circonlocuzione per risolvere il problema. Una volta che si fa pace con l’idea che le lingue “vedono” la realtà in modo leggermente diverso l’una dall’altra, non si pone più il problema della ricchezza dell’una o dell’altra. Semplicemente, sono lingue (e mindset) differenti.

D0mande per Enrico Cerni

Enrico Cerni
  1. Matteo P. chiede: la complessità è l’immaginazione applicata al caos?

E.C. risponde: Direi di no. Le situazioni complesse sono quelle che si collocano all’orlo del caos e che stanno appunto in equilibrio dinamico tra caos e ordine. Se applichiamo l’immaginazione al caos, non otteniamo immagini complesse ma slabbramenti, sfilacciamenti, riduzioni cognitive, esteticamente affascinanti ma a rischio di banalità.

  1. Patrizia G. chiede: abbiamo tutti dentro un mondo di cose: ciascuno un suo mondo di cose! E come possiamo intenderci, signore, se nelle parole ch’io dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sé, del mondo com’egli l’ha dentro? Crediamo di intenderci; non ci intendiamo mai! (Luigi Pirandello)

E.C. risponde: In effetti, è proprio così. Ciascuno cammina nel mondo e porta con sé le proprie mappe cognitive: ogni comunicazione diviene così un’incessante negoziazione e ri-negoziazione tra esseri diversi, ciascuno/a con le proprie esperienze, ciascuna/o con il proprio vissuto, ciascuno/a con la propria convinzione che quella parola lì voglia dire quella cosa lì. Per questo i dialoghi tra gli esseri umani sono anche faticosi e nulla deve essere dato per scontato tra i parlanti.

  1. Angela S. chiede: semplice, duplice e anche complice forse, che racchiude complessità e piega? azzardo…

E.C. risponde: Già, è proprio così, anche il complice è piegato, intrecciato, annodato, nella stessa direzione narrativa di semplice, duplice e complesso. Siamo complici, tu ed io, quando ci sentiamo parte di una stessa trama e quando l’ordito delle nostre parole è un ordito comune.

  1. Enzo Z. chiede: sta emergendo che la complessità non è altro che il battezzare la nostra ignoranza di una certa materia. O il non comprenderla a pieno. Allora, c’è una complessità soggettiva ed una oggettiva, quando l’ignoranza di una certa materia è generale o collettiva? Ed è quindi questa la vera ed unica complessità esistente?

E.C. risponde: Non credo che la complessità consista nell’ ignoranza, individuale o collettiva, di una data materia. Piuttosto la complessità è uno sguardo oltre qualunque materia, il fatto di considerare una materia, qualunque materia, come parte di un tutto più grande, il frammento di un ecosistema che contribuisce a creare.

  1. Monia D. R. chiede: mi chiedevo il rapporto tra ambiguità e responsabilità

E.C. risponde: La contemporaneità, oltre che complessa, incerta e volatile, è anche ambigua. Questo è un dato di fatto: una causa non genera più un effetto, non abbiamo più contesti oppure – oppure: siamo nell’era delle false dicotomie. In questo contesto, dobbiamo abdicare alla responsabilità? No di certo, anzi, proprio perché il contesto è nativamente e strutturalmente ambiguo ciascuno e ciascuna di noi ha il dovere di compiere atti responsabili in funzione di un futuro migliore. Quanto meno ha il dovere di provarci ☺

  1. Walter T. chiede: quali sono le relazioni tra le parole COMPLICE e MOLTEPLICE

E.C. risponde: Semplice (piegato una volta), duplice (piegato due volte o ri-piegato), molteplice (piegato più volte), complice (piegato assieme a qualcun altro), addirittura supplice (piegato in basso, in atteggiamento di preghiera) hanno semplicemente un nonno in comune. E sta a noi il compito di rinvenire quei tratti somatici che rendono simili queste parole ogni qual volta le incontriamo, le salutiamo e le interpretiamo come lontane parenti.

  1. Matteo P. chiede: la parola è superficiale rispetto all’oggetto nomato?

E.C. risponde: Per come ne abbiamo discusso, la parola è una coperta che appoggiamo sopra una cosa. Ciascuna comunità linguistica utilizza la propria lana e i propri colori per tessere quella coperta. Chi ha la fortuna di occuparsi di comparazione tra lingue diverse (o chi traduce da una lingua all’altra come fa Vera) può guardare controluce quei colori, osservare trama e ordito, scrutare le losanghe. 

  1. Luigi D. S. chiede: cosa pensate dell’otium linguistico? (Per entrambi)

E.C. risponde: nessuna parola più di quelle di Vera. Silenzio: parla Serianni.

  1. Marco A. chiede: qualcuno ha da suggerire un bel libro sul silenzio? (Per entrambi)

E.C. risponde: stupendo Larte di tacere dell’abate Dinouart, edizioni Sellerio. Lo rileggo di quando in quando e ne resto sempre sorpreso.

  1. Fatima C. chiede: non sarebbe più opportuno parlare di “distanziamento fisico” invece che “sociale”? (Per entrambi)

E.C. risponde: sì.

  1. Mara M. chiede: per la prima volta la parola non ha la bocca (mascherina) questo non vi interroga? (Per entrambi)

E.C. risponde: Anche la parola scritta non ha la bocca. Anche la parola pronunciata alle spalle non ha la bocca. Anche la parola detta a Cecilia, la mia amica cieca, non ha la bocca. Eppure, anche senza bocca, la parola tocca.

  1. Carlo M. chiede: ma la sana libertà di dire anche qualche cavolata, di cui in quel momento si è convinti? Non ci porta poi al confronto? al crescere? l’evoluzione non arriva proprio dall’errore, dalla discussione? dal mettere in dubbio la conoscenza stessa?

E.C. risponde: sì, in condizione di svacco. Ma dipende come sempre dai contesti. Abbiamo due orecchie e una sola bocca, vale davvero la pena di usarle in modo proporzionale alle quantità date.

Guarda il video del web-meeting “La materia delle parole: sostanza per nuove domande”:

Complexity Education Project

Incontro organizzato in collaborazione con Complexity Education Project

Festival Complessità

Incontro organizzato all'interno del Festival della Complessità

Per contattarci:
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Cell. +39-327-3523432

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