Fenomeni collettivi

 La prospettiva sbagliata

di Marinella De Simone

Quasi nessuno dei problemi, delle sfide e delle minacce che abbiamo di fronte è nuovo. Tutti ci accompagnano almeno dagli inizi della rivoluzione industriale, ed è soltanto a causa dell’andamento esponenziale dell’urbanizzazione che oggi hanno cominciato ad apparirci come uno tsunami incombente in grado di sopraffarci. La natura stessa dell’espansione esponenziale fa sì che il futuro immediato ci investa a un ritmo sempre più rapido, ponendoci di fronte a sfide inattese la cui minaccia rischia di rivelarsi ai nostri occhi quando ormai è troppo tardi. Di conseguenza, solo di recente siamo diventati consapevoli del riscaldamento globale, dei mutamenti ambientali, della disponibilità limitata di energia, dell’acqua e di altre risorse, delle questioni sanitarie e dell’inquinamento, della stabilità dei mercati finanziari e così via. E anche quando ce ne siamo preoccupati, abbiamo implicitamente supposto che fossero anomalie temporanee, che alla fine si sarebbero risolte o sarebbero scomparse.

(Geoffrey West, Scala)

In un precedente articolo, abbiamo introdotto il tema della crescita non lineare dei fenomeni, sottolineando come, rispetto ad essi, si cada facilmente nella prospettiva sbagliata: centrando l’attenzione solo su noi stessi, perdiamo di vista l’evoluzione dei fenomeni in cui siamo agenti spesso inconsapevoli.

Noi cresciamo, come tutti gli esseri viventi, in modo sub-lineare: a un certo punto della nostra vita, rallenta il nostro tasso di crescita fino a smettere del tutto. Così, in modo semplicistico, immaginiamo che avvenga per molti altri fenomeni: crescono, ma poi qualcosa li rallenta fino a fermarli.

La differenza sostanziale risiede nel cumularsi dei comportamenti individuali: ogni nostra azione rientra in un ecosistema di cui siamo parte – l’ecologia dell’azione di cui abbiamo parlato in un precedente articolo – e l’effetto che l’azione di ciascuno produce va a interagire e a integrarsi con quello di tanti, tantissimi altri, innescando fenomeni collettivi.

E i fenomeni collettivi funzionano in modo completamente diverso, spesso assumendo un andamento esponenziale. Tra i fenomeni collettivi più evidenti che segnano il nostro tempo in modo determinante vi è la crescita della popolazione umana, il fenomeno sempre più accelerato dell’urbanizzazione, l’accumularsi dei rifiuti, lo scioglimento dei ghiacciai, l’innalzamento delle temperature, il ridursi delle specie viventi, il propagarsi delle epidemie. Se continuiamo a guardarli dalla prospettiva sbagliata, non solo non riusciamo a comprenderli, ma ancor meno ad affrontarli efficacemente.

La popolazione umana cresce in modo vertiginoso: non solo la quantità di popolazione aumenta esponenzialmente, ma anche il tasso di crescita accelera. “È impressionante come il tempo di raddoppio della popolazione globale sia diventato sistematicamente sempre più breve (…): ci sono voluti trecento anni, dal 1500 al 1800, perché la popolazione raddoppiasse da 500 milioni a un miliardo, ma soltanto 120 anni per il raddoppio a 2 miliardi, e solamente 45 anni per un nuovo raddoppio a 4 miliardi.”1 Questo tipo di crescita è chiamata anche “crescita super-lineare”, poiché il tempo si riduce all’aumentare della grandezza presa in considerazione. Un classico sistema con feedback loop positivo.

La crescita esponenziale può manifestare tutta la sua potenza, ma anche tutta la sua drammaticità, quando avviene in un ambiente con risorse limitate. Uno dei primi studiosi che si è occupato di questo problema è stato Thomas Robert Malthus, il quale, nel suo Saggio sul principio di popolazione del 1798, ha analizzato la curva di crescita della popolazione umana, arrivando alla conclusione che, in un lasso di tempo relativamente breve, ci si sarebbe dovuti confrontare con il problema della sovrappopolazione rispetto alle risorse necessarie alla sua sopravvivenza. L’approccio malthusiano è stato fortemente criticato dagli economisti, i quali rimproveravano a questi studi di non aver tenuto nella dovuta considerazione la capacità innovativa dell’uomo, che ha consentito di spostare sempre in avanti il possibile limite delle risorse necessarie, assicurando una rapida crescita della popolazione ed un miglioramento generale delle condizioni di vita delle persone.

Quando si ferma una crescita esponenziale? Apparentemente, la crescita esponenziale può continuare illimitatamente, raggiungendo grandezze infinite. In realtà, si ferma quando trova dei vincoli alla propria espansione, come avviene nei sistemi biologici, in cui la competizione con altre specie e le limitazioni poste dall’ambiente creano una sorta di equilibrio fluttuante di coesistenza con tutto l’ecosistema, evitando così l’esplosione di popolazioni animali o vegetali incontrollate.

Se invece non vi sono limitazioni date da altre specie e dall’ambiente tali da regolarne l’andamento, è la crescita stessa a definire la propria insostenibilità nel tempo. Essa richiederebbe infatti risorse illimitate e in continuo aumento esponenziale – di energia, di cibo, di terra da coltivare, di case da abitare, di rifiuti da smaltire – tali da rendere impossibile la vita. Sono le risorse stesse a divenire limitate, e alla rapida crescita fa seguito necessariamente la stagnazione e poi il collasso.

Riusciamo a comprendere con facilità la crescita lineare di un fenomeno e siamo in grado, in questo caso, di fare agilmente previsioni di quanto potrà accadere nel corso del tempo. Siamo invece impreparati ad affrontare dei fenomeni collettivi caratterizzati da una variazione esponenziale, per quanto la vita stessa non faccia che offrirci esempi di questa strategia di diffusione. Di fronte alla crescita esponenziale cadiamo in un errore di prospettiva, credendo che ciò che è accaduto in passato possa continuare ad accadere in futuro. La crescita all’inizio è infatti spesso lenta – ed a volte molto più lenta della crescita lineare – cosicché la sottostimiamo, non rendendoci conto che è in atto una moltiplicazione esponenziale della grandezza considerata. Ci accorgiamo degli effetti di questa crescita solo quando la quantità considerata s’impenna ed il tempo rimasto non è più sufficiente per porvi rimedio.

Di errori di valutazione di questo tipo è piena la nostra storia più recente, dalla sottovalutazione – ancora attuale – dei fenomeni connessi al riscaldamento globale all’aumento esponenziale dei contagi.

Partendo proprio da quest’ultimo caso, nemmeno la conoscenza, ormai acquisita e confermata dall’esperienza di ciò che tutti abbiamo vissuto direttamente nel proprio paese o indirettamente negli altri paesi, aiuta ad intervenire nei tempi appropriati per bloccarne l’espansione. Aspettare giorni, se non settimane, per prendere le decisioni necessarie a limitare l’espansione dell’epidemia può fare una differenza enorme in termini di capacità di cura delle persone malate e, quindi, in termini di numero di possibili morti.

Si attende di arrivare al limite – come fosse l’ultimo minuto del becher in cui si coltivano i batteri – per decidere di fare qualcosa per bloccare la diffusione dei contagi.

Si ragiona quindi come se il tempo fosse solo il presente, senza nessuna prospettiva sugli eventi futuri, per quanto ben prevedibili. Va da sé che, intervenendo quando la situazione è ormai “fuori controllo”, le azioni da compiere sono necessariamente radicali e, contestualmente, poco efficaci. Gli effetti cumulati di quanto avvenuto già in precedenza continueranno a manifestarsi – in termini di malati, ricoveri e morti – per il lasso di tempo collegato a ciò che già è avvenuto come contagio.

Per quanto sia contro-intuitivo, in presenza di una crescita esponenziale bisognerebbe intervenire quando i numeri sono ancora molto bassi, bloccando sul nascere la possibilità di moltiplicazione dei fenomeni. Riprendendo l’esempio del becher, intervenire quando i microrganismi sono pochi per bloccarne la riproduzione significherebbe fare interventi mirati e leggeri, ma molto efficaci. Nella pandemia in atto, significherebbe intervenire quando i contagi sono ancora pochi, senza aspettare – come invece si fa – che crescano oltre una certa soglia per cercare di bloccare l’espansione ormai avvenuta.

In altre parole, fare esattamente il contrario di ciò che si sta facendo. Ma chi mai si prenderebbe la responsabilità di simili interventi?

La buona notizia rispetto ai fenomeni con moltiplicazione non lineare è che, così come crescono esponenzialmente, altrettanto possono decrescere esponenzialmente. Quindi fermarne la crescita al tempo opportuno significa far diminuire radicalmente, e per un periodo di tempo molto lungo, lo sviluppo ulteriore.

La cattiva notizia è che questi fenomeni, crescendo potenzialmente all’infinito, portano i sistemi di cui sono parte al collasso. Niente è in grado di far fronte a qualcosa che diviene infinito.

In termini di complessità, si dice che il sistema è in un ciclo a feedback loop positivo, ovvero di auto-rinforzo, in cui gli effetti prodotti dal sistema rientrano nel sistema stesso alimentandolo ulteriormente. Se questo processo prosegue e non ci sono altri sistemi che ne riequilibrano l’evoluzione, esso tende a oltrepassare una soglia oltre la quale perde le qualità di un sistema complesso – che ne preservano la stabilità dinamica – e collassare.

Il problema che è bene essere preparati ad affrontare quando si interviene al tempo giusto è quello di andare ‘contro corrente’ rispetto al mainstream: quasi nessuno è disposto a prendersi la responsabilità di prendere provvedimenti quando tutto sembra ancora estremamente tranquillo e decisamente sotto controllo. L’intervento potrebbe essere giudicato non necessario ed esagerato rispetto a quanto si sta verificando, poiché questo giudizio è fondato sui dati attuali e passati, senza comprensione reale di ciò che ci attende e dell’accorciarsi vertiginoso del tempo a disposizione.

L’efficacia del risultato ottenuto non farebbe che confermare la tesi dell’inutilità dei provvedimenti presi: si direbbe che, in fondo, “non è successo nulla”, e che pertanto non era assolutamente necessario intervenire.

Se non si riesce a mettere nella giusta prospettiva ciò che si è evitato agendo al momento opportuno, l’intervento che limita i danni non ha lo stesso valore dell’impresa “eroica” compiuta all’ultimo minuto, sul filo del rasoio. Di interventi eroici è piena la nostra cultura di massa: tanti sono i film che prevedono la fine del mondo e il salvataggio in extremis della specie umana, magari colonizzando un altro pianeta. E ci entusiasmiamo per questi atti straordinari.

Anche la stupidità è un fenomeno collettivo: la lettura semplificata della realtà da parte di ognuno di noi, unita alla mancanza di assunzione di responsabilità da parte dei diversi decisori, genera una inerzia globale che non è di alcun aiuto.

Chissà come ci giudicherebbe qualcuno che possa osservarci retrospettivamente, partendo dalla fine e calcolando quanto tempo abbiamo avuto a disposizione per poter intervenire evitando drammi, malattie, migrazioni epocali, scarsità di risorse e, nonostante ciò, non abbiamo fatto nulla.

Occorre fare i conti con questa stupidità collettiva se vogliamo evitare un futuro che è, purtroppo, facilmente prevedibile.

1 Geoffrey West, Scala. Le leggi universali della crescita, dell’innovazione, della sostenibilità e il ritmo di vita degli organismi, delle città, dell’economia e delle aziende, Mondadori, 2018.

La foto di copertina è di 1993380 da Pixabay

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